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Un massimo di 5 grammi al giorno, l’equivalente di 2 grammi di sodio: quanto ne può contenere un cucchiaino da tè. È il nostro sale quotidiano, secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ma il Bel Paese è ben lontano dall’esercizio della virtù. E le stime parlano di una media – calcolata sugli abitanti del Bel paese – di 10 grammi di sale presenti nell’alimentazione quotidiana, sommando il sale aggiunto e quello naturalmente contenuto negli alimenti.

Il sale e i suoi (tanti) benefici
Che il sale sia prezioso è cosa nota. Che nell’antichità lo fosse ancora di più, a causa delle sue proprietà di conservante naturale, anche. Tanto che nell’antica Roma era ribattezzato “oro bianco”, che i Romani gli dedicarono una strada - la “Via Salaria”, appunto, costruita apposta per trasportare il minerale dall’Adriatico a Roma - e che “salario”, non a caso, è ancora oggi il termine utilizzato per definire la paga mensile, derivato pari pari dalla nomenclatura militare di età romana, quando i soldati, appunto, erano pagati parte in denaro, parte in sale.
Ma che cos’è il sale? Tecnicamente si tratta di un minerale, capace di equilibrare la percentuale di liquidi nell’organismo, e di garantire il transito dei nutrienti verso le cellule e la trasmissione degli impulsi nervosi al cervello. Le riserve di sodio contenute nelle ossa, inoltre, consentono all’organismo di farvi ricorso se serve regolare l’acidità – e dunque il PH - del sangue.
Sale fondamentale, dunque. Anche se un consumo eccessivo di questo minerale può rivelarsi un vero e proprio boomerang per la nostra salute.
In condizioni normali il corpo umano ha bisogno di piccole quantità di sodio (393,4 mg), che corrispondono a 1 grammo di sale da cucina (cloruro di sodio). Ogni giorno, però, l’italiano medio mangia in media 10 grammi di sale, equivalenti a circa 4 g di sodio, cioè una quantità quasi dieci volte superiore al necessario.

Le conseguenze dell’abuso
Ma cosa provoca questo vero e proprio abuso di sale? La risposta è secca: diversi problemi, anche seri. Ecco quali.

  1. Ipertensione
    Il consumo eccessivo di sale aumenta il rischio di ipertensione (il superamento costante dei valori limite di pressione arteriosa, oggi fissati in 90 mmHg di minima e 140 mmHg di massima), che a sua volta è il primo fattore di rischio per ictus, infarto o malattie renali croniche dei reni, soprattutto negli over 60. E il rischio è direttamente proporzionale alla quantità di sale ingerita: più sale si consuma, più aumenta il rischio. E diminuire l’assunzione di sale serve? Eccome, tanto che uno studio recente pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA) dimostra come riducendo di 4 grammi al giorno la quantità di sodio ingerita, in un adulto di età compresa tra i 50 e i 75 anni, in sette giorni la "massima" cala di 7-8 millimetri di mercurio in tre casi su quattro.
  2. Osteoporosi
    L’eccesso di sale aumenta anche il rischio di sviluppare carie e osteoporosi, perché il sodio stimola il rilascio di calcio dai denti e dalle ossa favorendone l’eliminazione per via urinaria, dato che per ogni grammo di sodio eliminato con le urine si perdono 26,3 mg di calcio al giorno, il che significa che in un anno la massa ossea potrebbe dinminuire anche dell’1%, con conseguenze facilmente immaginabili.
  1. Obesità
    Chi mangia per abitudine consuma regolarmente snack salati e patatine rischia naturalmente di sviluppare obesità. In più il sale, facendo aumentare il bisogno di liquidi dell’organismo e quindi la sete, potrebbe portare a consumare bevande gassate e zuccherate, tra le principali imputate dell’aumento di peso. E come dimostra uno studio recente condotto in Gran Bretagna, il rischio è ancora più marcato nelle fasce d’età di bambini e adolescenti.

Quale sale utilizzare?
L’OMS e il Ministero della Salute indicano nel sale marino integrale il sale migliore per la nostra alimentazione. Ma oltre al sale marino, ottenuto per evaporazione dall’acqua di mare nelle saline e successivamente depurato, esiste anche il salgemma, più noto come sale da cucina, estratto dalle miniere di sale, non bisognoso di raffinazione, e variabile in gusto e sapore per la presenza di altri minerali, come avviene per il sale integrale, per il sale rosa dell’Himalaya, per il sale grigio bretone, per il sale blu di Persia, per il sale affumicato di Norvegia, e infine per il sale rosso delle Hawaii o quello nero (grazie al carbone contenuto) dell’isola di Molokai, sempre alle Hawaii.
La differenza principale nell’ambito dei diversi tipi di sale riguarda però il contenuto di iodio: il sale marino ne è di solito carente (proprio a causa del processo di raffinazione), mentre il salgemma è più ricco di minerali e di iodio, e per questo favorisce il funzionamento della tiroide, soprattutto se si vive lontano dal mare.

Disintossicarsi dal sale, come fare
Insaccati, cibi raffinati e processati, salumi e preparazioni gastronomiche sono tra gli alimenti più ricchi di sodio, e si stima contengano il 54% di quel che consumiamo. I cibi freschi contengono solo il 10% di sodio. Il 36% del sodio che mangiamo viene invece dal sale aggiunto durante la preparazione dei cibi.
Per ridurre i quantitativi di sale assunto guadagnandoci in salute occorre, ovviamente, fare un sacrificio, e procedere in modo graduale. Ecco qualche dritta: 
- Controllare sempre l’etichetta: sui prodotti confezionati viene indicata la quantità di sodio o sale, ed è meglio scegliere quelli in cui il sale non supera 1g (o il sodio non supera 0,4g o 400 mg) per porzione. Considerato che gli ingredienti sono indicati in ordine decrescente, inoltre, occorre preferire i prodotti in cui sale o sodio sono citati in fondo alla lista degli ingredienti.
- Prediligere i prodotti freschi: sughi pronti, merendine, dadi maionese, hamburger pronti sono tra i cibi a più alto tenore di sale. Meglio quindi scegliere alimenti freschi, o surgelati al naturale.
- Lavare sempre i legumi: se non si sono scelti i legumi secchi ma quelli in scatola, occorre sciacquarli prima di utlizzarli, perché il liquido di conservazione contiene sale.
- Diminuire la presenza di formaggi stagionati e insaccati nella dieta. Se proprio non si riesce a rinunciare ai formaggi, meglio ricorrere a quelli freschi, evitando salumi e insaccati che contengono sale in quantità.
- Quanto al pane, il migliore è naturalmente quello toscano o umbro, “sciapo”, evitando se possibile cracker, grissini e crostini vari, in genere abbondantemente salati per risultare più appetitosi.
- Infine, per insaporire i piatti, preferire l’uso di spezie a quello del sale, ottenendo così apprezzabili effetti aromatici 

L’Istituto Farmacologico Mario Negri e lo studio REPRESS
Il Laboratorio di Farmacoepidemiologia e Nutrizione Umana dell’Istituto Mario Negri sta conducendo un progetto, lo Studio REPRESS (Reduction of dietary salt intake to control systolic blood pressure in hypertensive older patients: the repress randomized controlled trial), che si prefigge di stabilire il tasso di efficacia di un intervento educativo per ridurre il consumo di sale nella dieta di persone di 60 anni e oltre con ipertensione moderata. Lo studio fa parte del progetto Spoke 7 di OnFoods, rete di ricerca per il cibo e la nutrizione sostenibili.

L'Istituto Superiore di Sanità e il monitoraggio sul consumo di sale
E in vista della Giornata Mondiale del Cuore, prevista per il 29 settembre, la sorveglianza PASSI dell'Istituto Superiore di Sanità ieri ha pubblicato i dati aggiornati su rischio cardiovascolare e consumo di sale. Nel biennio 2022-2023 emerge che complessivamente il 41% degli adulti intervistati presenta almeno 3 dei fattori di rischio cardiovascolare indagati dalla sorveglianza, mentre solo il 2% risulta del tutto libera dall’esposizione a questo rischio. Inoltre, i dati PASSI rivelano che più di 5 persone su 10 (56%) fanno attenzione alla quantità di sale assunta a tavola, nella preparazione dei cibi e nel consumo di quelli conservati. Buona la consapevolezza dell’importanza di assumere iodio attraverso il sale iodato: complessivamente, infatti, il 77% degli intervistati sceglie di utilizzare questo tipo di sale.
Tuttavia "l'uso consapevole del sale è più frequente fra le donne (60% vs 51% negli uomini), nelle persone più grandi di età (raggiunge il 64% fra i 50-69enni vs 43% fra i 18-34enni), fra i residenti con cittadinanza italiana (56% vs 49% fra gli stranieri) e tra gli individui più istruiti (in particolare i laureati hanno un’attenzione maggiore all’impiego di sale nell’alimentazione) - si legge in una nota dell'ISS - Chiaro il gradiente geografico per cui è maggiore l’attenzione al consumo di sale fra i residenti nelle Regioni del Nord (60% vs 51% dei residenti nel Meridione)".
Ed eccoci ai problemi in materia di sale: "Fra le persone con almeno una patologia cronica, 1 paziente su 3 sembra non prestarvi attenzione; anche se tra chi ha una diagnosi di ipertensione arteriosa o di insufficienza renale (per le quali la riduzione del consumo di sale diventa strumento di controllo della malattia), la percentuale di chi ne fa un uso consapevole risulta più alta (74% e 71% rispettivamente) questa non raggiunge comunque i livelli attesi - lamenta l'Istituto - Malgrado l’esiguo numero di donne in gravidanza nel campione, in questo sottogruppo di popolazione la percentuale di attenzione al consumo di sale è significativamente maggiore (68%) rispetto alla popolazione femminile di riferimento, in età fertile ma non in gravidanza (54%)".



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