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Ormai non ci sono più dubbi: tra i tanti effetti a lungo termine del COVID, c’è anche quello di una perdita di quoziente intellettivo. Lo dimostra uno studio dell’Imperial College di Londra, che ha coinvolto 112.964 persone rilevando come il virus abbia “incenerito” tra i 6 e i 9 punti di QI (quoziente intellettivo), con i punteggi più alti riscontrabili tra i pazienti ricoverati in Terapia Intensiva e tra le vittime del “Long Covid”, che da inizio-pandemia ha interessato ben 400 milioni di persone in tutto il mondo.
I problemi principali sembrano riguardare memoria e capacità cognitive, con lacune più marcate nel gruppo di partecipanti allo studio che ha contratto il COVID quando circolavano virus originale e variante alfa, rispetto a quelli che si sono ammalati a causa di varianti più recenti (delta e omicron). Più critica anche la situazione dei pazienti “long COVID” (nei quali la variante non sembra indicativa, e gli effetti sono comunque presenti), in quelli che hanno subito un ricovero, mentre chi ha superato brillantemente la malattia non mostra sostanziali differenze rispetto ai gruppi di confronto che non si sono mai ammalati, a meno che l’infezione non risalga ai primi tempi di pandemia (virus originale o variante alfa, appunto).
Secondo la ricerca, il COVID appare dunque in relazione a conseguenze misurabili sul fronte cognitivo, nonostante il progredire della pandemia sembri inversamente proporzionale alla gravità delle conseguenze a lungo termine, e una situazione lievemente migliore a livello di deficit cognitivi sia riscontrabile nei partecipanti che hanno ricevuto due o più dosi di vaccino.
Infine, un segnale di speranza: stando alla ricerca, sembra che la soluzione dei sintomi correlati al long COVID possa migliorare il deficit cognitivo, riportando i pazienti ai livelli di chi ha contratto l’infezione senza incorrere nei sintomi a lungo termine.

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