Che sonno e ricordi siano strettamente legati tra loro, e che la memoria risenta positivamente della qualità del sonno, alla scienza era già cosa nota. Basti pensare al fatto che proprio durante il sonno il cervello umano “mette in archivio” i ricordi, cestinando al contempo tutto ciò che ritiene superfluo e non meritevole di essere mnemonizzato: questo avviene principalmente attraverso la connessione tra ippocampo e corteccia cerebrale, un fenomeno, appunto, che sembra verificarsi in particolare durante le fasi di quiete della mente.
Ora, in collegamento con queste consapevolezze acquisite, arriva il nuovo studio pubblicato su Nature Communication, a mettere nero su bianco “la relazione tra la respirazione, che ha dimostrato di avere un impatto sui ritmi cerebrali e sulla cognizione durante la veglia, le oscillazioni legate al sonno e la riattivazione della memoria negli esseri umani”.
In pratica, esaminando i dati relativi a un esperimento precedente, in cui ai 20 partecipanti era stato chiesto di memorizzare qualcosa appena prima di un pisolino per poi misurarne elettroencefalografia del cuoio cappelluto e respirazione, gli studiosi hanno ora scoperto che è proprio la respirazione “a modulare le oscillazioni del sonno”, in una variazione a sua volta “legata all’entità della riattivazione della memoria”.
“I nostri risultati identificano una chiara associazione tra respirazione e consolidamento della memoria negli esseri umani – si legge nello studio – e sottolineano il ruolo delle interazioni cervello-corpo durante il sonno”. Con un’avvertenza: il sonno in questione sarebbe in particolare quello NREM (Non rapid eye movement), che rappresenta in media il 75% del sonno totale di un individuo adulto.
In pratica, chi respira male durante il sonno ne risente – oltre che su altri fronti - anche a livello di memoria. E in merito c’è già chi pensa, soprattutto per la fascia di popolazione più anziana, a protocolli di cura basati sulla respirazione finalizzati a potenziare le capacità mnemoniche.