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La medicina di genere è quella branca della medicina che studia l’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socioeconomiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.

Gli studi in questo campo ebbero inizio nei primi anni 90 quando Bernardine Patricia Haley, cardiologa e direttore dell’Istituto di Cardiologia si accorse che la ricerca scientifica condotta nel suo istituto coinvolgeva solo individui di sesso maschile e animali maschi. Healy si accorse anche che le donne erano sottoposte in misura nettamente inferiore a procedure diagnostiche e terapeutiche rispetto alla controparte maschile. La ricercatrice si chiedeva se le donne dovessero travestirsi da uomini per essere curate.
Sebbene esista un corposo panel di evidenze scientifiche e dati epidemiologici, clinici e scientifici atti a dimostrare le notevoli differenze nell’insorgenza e manifestazione clinica delle malattie comuni a uomini e donne, ancora molto c’è da fare in termini di studio e di approfondimento su questi temi.
Per comprendere l’impatto della medicina di genere basti prendere in considerazione alcuni esempi. Le donne che hanno più di 75 anni e che soffrono di fibrillazione atriale hanno un rischio doppio di andare incontro a ictus rispetto agli uomini. La sindrome coronaria acuta si manifesta in maniera completamente diversa in uomini e donne e questo può portare a pericolosi errori e/o ritardi diagnostici.

Anche la propensione all’impiego dei farmaci è diversa, per motivazioni di tipo biologico (perché si ammalano diversamente) e per motivazioni di tipo socioculturale (hanno un approccio diverso alle cure).
A parlare sono i dati dell’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali (OsMed) che dicono che nel 2021 in Italia il 67% delle donne ha ricevuto almeno una prescrizione medica contro il 68% registrato fra gli uomini.
Queste differenze sono più marcate nella fascia di età compresa fra i 20 e i 64 anni. Anche la risposta ai farmaci è diversa nei due sessi perché è diverso il metabolismo delle molecole assunte ovvero il processo di assorbimento distribuzione ed eliminazione di un farmaco. Evidenze scientifiche dimostrano che le donne hanno concentrazioni di farmaco nel sangue più alte rispetto a quelle che si riscontrano nella controparte maschile e questo può comportare un maggiore rischio di reazioni avverse.

A questo punto risulta chiaro quanto sia importante che le donne sia adeguatamente incluse negli studi clinici. Ad oggi numerose ricerche dimostrano come le donne siano sottorappresentate negli studi clinici che studiano gli effetti dei farmaci così come l’impatto e il decorso delle più frequenti patologie.
Inoltre, la scarsa presenza di soggetti femminili negli studi clinici, denominata cecità di genere, riguarda non solo le scienze mediche ma anche quelle sociali e prende le mosse dall’assunto per il quale maschi e femmine sarebbero simili per quanto riguarda la condizione patologica e anche la risposta ai farmaci.

Al di là dell’inclusione di un numero adeguato di donne all’interno delle sperimentazioni cliniche è fondamentale una corretta lettura dei dati successivamente raccolti. Lettura che deve essere fatta tenendo conto delle differenze biologiche e socioculturali e avendo chiara la differenza fra sesso e genere.

Il sesso è determinato dalla specificità biologica e fisica che permette di distinguere maschi e femmine; sulla base di differenti caratteri sessuali. È un’accezione biologica che ci costituisce fin dalla nascita.
Il genere è invece un’accezione psicologica che riflette il nostro sentirci maschi o femmine che si forma a seguito delle interazioni sociali che si costruiscono nel corso della vita. Non basta l'appartenenza sessuale a definire l'essere donna o l'essere uomo, ma l'educazione, la cultura: il genere viene creato quotidianamente attraverso le costanti interazioni che l'individuo intrattiene con il suo contesto di vita.
Sesso e genere traducono le due dimensioni dell'essere donna e uomo: quella biologica e quella psicologica, sociale e culturale. L'identità di genere è dunque il riconoscimento di se stessi come appartenenti al genere maschile o femminile indipendentemente dal sesso anatomico di nascita.

I futuri sviluppi della medicina di genere devono avere un duplice obiettivo: da un lato aumentare la consapevolezza e la conoscenza delle differenze di genere e dall’altro stimolare l’avvio di percorsi che garantiscano lo studio delle popolazioni maschili e femminili in maniera specifica e selettiva attraverso la formulazione di protocolli di ricerca che tengano conto delle differenze esistenti fra maschi e femmine nel percorso e nell’esito della patologia stessa.

Chiara Finotti, Vicedirettore Rivista Respiro

 

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