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Ci sono immagini dal potere evocativo così grande da riuscire a raccontare una storia, a trasmettere emozioni, senza usare le parole. E’ questo il caso di un delle istantanee più celebri sulla storia del Vietnam che ritrae una bambina di nove anni che, completamente nuda e ustionata su varie parti del corpo, corre assieme ad altri bambini, che poi scopriremo essere i fratelli e i cugini, per fuggire a una violenta esplosione. La bambina si chiama Kim Phuc e vive nel villaggio di Trang Bong, vicino a Ho Chi Minh, Saigon, occupato in quel momento dai soldati nord vietnamiti. Alcuni Douglas-I Skyrider dell’esercito sud vietnamita sganciano bombe al napalm, una sostanza viscida e infuocata che si appiccica ovunque ed è in grado di amplificare gli effetti ustionanti. Nei giorni precedenti al bombardamento, Nick Ut, un fotoreporter nord vietnamita, viene a sapere degli attacchi grazie a una soffiata e si reca sul posto per fare insieme ai colleghi il suo lavoro: scattare fotografie. Non sa che quella giornata cambierà la sua vita per sempre.

Nick racconta di aver visto elicotteri sorvolare la Pagoda del villaggio e sganciare bombe al napalm. A quel punto vide una donna anziana, che poi scopriremo essere la nonna di Kim, che corre tenendo in braccio il nipotino di soli 3 anni che morirà pochi minuti dopo.

Dopo poco a dominare la scena è una bimba che si è liberata dei vestiti incandescenti e urla disperata spalancando le braccia: “Troppo caldo! Troppo caldo”. In quel momento, il fotoreporter rende immortale un pezzo di storia che rimarrà nell’immaginario comune a testimoniare fino a che punto può arrivare la crudeltà umana. Quello scatto sarà intitolato “Napalm Girl”.
Il fotoreporter racconta che, dopo aver visto le terribili ferite sul corpo della piccola, ha istintivamente abbandonato la macchina fotografica per aiutarla offrendole dell’acqua. Con altri colleghi ha trasportato lei, svenuta, e altri bambini in un piccolo ospedale a 30 minuti di distanza. Inizialmente si pensa che Kim sia morta pertanto il suo corpicino viene trasferito in una camera mortuaria. E sarà proprio lì che i genitori la troveranno tre giorno dopo le esplosioni. Successivamente, Kim è stata trasferita a Saigon dove ha trascorso 14 mesi in ospedale e ha subito 17 operazioni, l’ultima nel 1984 in Germania.

Una volta dimessa dall’ospedale il padre le ha mostrato la foto scattata da Nick. Ecco come Kim ricorda quel momento: “La prima volta che ho visto la mia foto, con me nuda, sono rimasta scioccata. Mi sono sentita così in imbarazzo, così vulnerabile. In seguito ho affrontato tanto dolore, traumi, incubi. L’arte della vita è vivere con amore, speranza e perdono perché solo questo può davvero cambiare il mondo”.

La sera del 6 maggio scorso il fotografo e la bambina protagonista della celebre foto si sono incontrati a Milano in occasione dell’inaugurazione della mostra dal titolo: “From Hell to Hollywood”. Non è la prima volta che i due si ritrovano. L’esposizione, ospitata per tutto il mese di maggio presso Palazzo Lombardia, ripercorre la carriera di Ut a 50 anni dallo scatto, il Napalm Girl appunto, grazie al quale vinse il Premio Pulitzer nel 1973 e che rimase uno dei tanti simboli della guerra in Vietnam.

La stessa Kim appare in diverse delle immagini in mostra a Milano, scattate sia ai tempi del conflitto, sia in una fase successiva della sua vita, quando il fotoreporter la incontrò di nuovo ormai adulta. "Non so bene come io sia sopravvissuta e come io sia qui. - ha spiegato oggi Kim Phuc - La mia storia è cominciata con un bombardamento e una foto. Io sono solo uno di quei bambini che hanno sofferto e soffrono nelle guerre. Un'icona. Come la mia foto. Sono diventata un simbolo della guerra a seguito di quello scatto. È cominciata così la mia vita di testimonianza.”

Kim Phuc ha successivamente studiato a Cuba, e nel 1992 ha sposato un connazionale con il quale ha avuto due figli e si è trasferita in Canada. E’ diventata cittadina canadese nel 1996. Il 10 novembre 1997 è stata nominata ambasciatrice dell'UNESCO e tramite la KIM Phuc Foundation si occupa di sostenere i bambini vittime delle guerre di tutto il mondo. In numerose occasioni Kim racconta come sia riuscita a trasformare la sua vita in uno strumento per aiutare gli altri anziché farsi soffocare dall’odio e dal rancore. Ci è riuscita attraversando dolorosi e impervi percorsi che hanno richiesto tanto tempo ma, alla fine, l’odio non ha vinto. Ad aiutarla in questo senso è stato l’incontro con la fede cristiana.

Purtroppo questa non è una storia del passato ma è qualcosa che appartiene all’oggi. Al terribile presente che stiamo vivendo.

Chiara Finotti

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