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In Italia, come in gran parte dei Paesi occidentali, il problema della denatalità è sempre più sentito. Se da un lato, infatti, l’età in cui si diventa genitori si sposta sempre più avanti, è anche vero che molte coppie si rivelano infertili, con tutte le conseguenze e i problemi del caso. Stando ai dati più recenti, infatti, l’infertilità riguarda il 15-20% delle coppie italiane: un dato preoccupante, ben più elevato della media mondiale (pari al 10-12%) e oltretutto secondo l’ISS (Istituto Superiore di Sanità) in costante aumento.
Per arginare quella che sembra una tendenza inarrestabile, scienziati e ricercatori cercano ogni sistema utile. E ottime speranze, secondo lo studio recente “Cellule staminali mesenchimali derivate dal cordone ombelicale per il trattamento dell'infertilità dovuta a insufficienza ovarica prematura” pubblicato sul National Library of Medicine, verrebbero dall’ impiego di cellule staminali ricavate dal cordone ombelicale.
Stando alle ricercatrici firmatarie dello studio, infatti, quello di utilizzare staminali cordonali sarebbe “un approccio efficace per il trattamento della sterilità, come dimostrato da numerosi studi condotti sulla terapia con cellule staminali”. Questo perché le staminali mesenchimali da cordone ombelicale sono in grado di autoripararsi e rigenerarsi, e riescono contemporaneamente a migliorare la funzionalità ovarica, aumentando il numero di follicoli, i livelli di ormone sessuale della donna, e facendo calare in parallelo il tasso di morte programmata delle cellule della granulosa.
E se sui fronti dell’onco-ematologia, dell’immunologia e di alcune patologie ereditarie si è recentemente scoperta l’utilità del trapianto di cellule staminali cordonali, lo stesso sembra valere in caso di infertilità.  
La situazione italiana
Che in Italia la situazione sia altamente problematica, del resto, è cosa nota: stando ai dati Istat più recenti, infatti, nel nostro Paese il tasso di natalità è sempre più basso. Nel 2023 è sceso a 6,4 bambini ogni mille abitanti (contro il 6,7 nel 2022) con un totale di 379.000 nascite. Siamo quindi alla media di 1,20 figli per donna, molto vicina, dunque, a quella del 1995, quando si registrò il minimo storico con 1,19 figli per donna. E continuando così, ammonisce l’Istat, nel 2050 avremo 5 milioni di abitanti in meno.
I motivi? Tanti e diversi: la fecondità cala, insieme alla popolazione femminile in età riproduttiva (oggi scesa a 11,5 milioni di donne contro i 13,4 milioni di un decennio fa). Ma anche quella maschile non scherza, e i dati parlano di una discesa netta dai 13,5 milioni di maschi fertili nel 2014 ai 12 milioni contati nel gennaio 2024.
Ma non è tutto. Perché i genitori “primipari” italiani sono sempre più attempati: le donne che mettono al mondo il primo figlio hanno in media un’età superiore ai 32 anni, gli uomini si attestano sui 35,8 anni, conquistandosi per default il marchio di “papà tardivi”.
Anche per questo motivo, le donne che nel nostro Paese fanno ricorso alla procreazione assistita toccano ormai il 48% del totale, e secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) negli ultimi 20 anni avrebbero visto la luce in questo modo ben 217mila bambini.  

 

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