Condividi sui social

Che la violenza di genere influenzi i marcatori epigenetici (i “tag” chimici che segnalano l’attivazione – e la disattivazione – dell’espressione dei nostri geni senza che però sia modificata la struttura del DNA) è risaputo: sono molti, infatti, gli studi che lo testimoniano. È risaputo anche – come ha sottolineato a più riprese l’OMS – che la violenza di genere costituisce un rilevante problema di salute pubblica, nonché uno dei principali fattori di rischio per morbilità e la morte prematura di donne e ragazze in tutto il mondo.
Ora uno studio pilota italiano, iniziato nel 2016 e promosso dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) in collaborazione con Università degli Studi di Milano e Fondazione Cà Granda, (Epigenetics for WomEn-EpiWE), evidenza con chiarezza la presenza di marcatori epigenetici associati al PTSD (Post Traumatic Stress Disorder, Disturbo da Stress Post Traumatico) in una popolazione che ha subito violenza in ambito relazionale e/o sessuale, rispetto alla popolazione di controllo, “certificando” dunque gli effetti a lungo termine che la violenza di genere produce a livello epigenetico e, di conseguenza, sulla salute in generale.
“Le donne che hanno subito violenza hanno una prevalenza di problemi di salute doppia o tripla rispetto a una popolazione di controllo – si legge nello studio - La maggior parte degli studi epidemiologici sulla violenza di genere sono incentrati sugli effetti a breve termine, mentre quelli a lungo termine, seppure gravi e complessi, sono trascurati o marginalmente inclusi. Risulta fondamentale e necessario ricostruire e seguire la correlazione tra violenza e insorgenza precoce di alcune patologie non trasmissibili, avvalendosi di fonti di dati aggiornati e quanto più possibile attendibili”.

La Banca Dati sulla violenza di genere
Per farlo i ricercatori considerano innanzitutto i dati provenienti dalla “Banca dati sulla violenza di genere”, istituita nel 2019 da ISTAT e Ministero della Salute per monitorare questa “pandemia silente” e per studiare, a partire dal monitoraggio, gli strumenti più adeguati ad arginare il fenomeno. La Banca Dati considera i flussi sanitari provenienti da dati di interconnessione dei Pronto Soccorso (PS), dell’assistenza in Emergenza-Urgenza, (EMUR) e delle Schede di Dimissioni Ospedaliere (SDO), in aggiunta alle Cause di Morte (CdM). “Nonostante siano stati inizialmente istituiti per finalità amministrative, rappresentano oggi una fonte fondamentale per le analisi epidemiologiche. Per potere studiare la correlazione tra violenza e insorgenza precoce di alcune patologie non trasmissibili, è necessario ricostruire, seguire e ripercorrere l’intera storia sanitaria della donna – si legge sul sito dell’ISS - Avere una chiave di linkage individuale nel rispetto delle attuali normative sulla privacy, che permetta di seguire la stessa donna all’interno di EMUR, SDO e CdM, potrebbe consentirci l’identificazione di profili di salute o di rischio associabili all’evento violenza domestica o sessuale”.

I dati (allarmanti) in arrivo dal 1522
E a confermare, semmai ce ne fosse bisogno, la gravità – crescente – del problema della violenza di genere in Italia provvedono i più recenti dati disponibili del 1522, servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri attivo dal 2006, chiamando il quale – gratuitamente – si riceve aiuto qualificato in materia di violenza e stalking.
Ebbene, i dati dell’ultimo trimestre 2023 parlano chiaro: “Il quarto trimestre registra un picco di chiamate mai osservato in passato – si legge nel report del Servizio - Sebbene già nei tre trimestri del 2023 il numero delle chiamate per telefono e chat abbia registrato una crescita rispetto agli anni precedenti, solo nel quarto trimestre esso a arriva a totalizzare 21.132 chiamate valide, con un incremento percentuale dell’88,9% rispetto al trimestre precedente e del 113,9% rispetto allo stesso periodo del 2022”. Quanto ai mittenti, si parla di “chiamate non solo da parte di utenti e vittime che chiamano per informarsi sulle attività del 1522 (+108,9% rispetto al trimestre precedente), per chiedere aiuto in caso di violenza (+61,3%) e soprattutto di stalking (+113,8%), ma anche da parte di parenti/amici/ conoscenti e operatori dei servizi”. E se le campagne promozionali, per stessa ammissione del Servizio, hanno certamente fatto la loro parte, è indubbio che a influenzare l’impennata di chiamate siano stati i recenti – e atroci – fatti di cronaca che tutti ricordiamo.

Epigenetica e violenza contro le donne
Ma torniamo allo studio, e alla sua importanza: la violenza, quale fattore ‘socio-ambientale’ negativo, ne risulta infatti in grado di influenzare e modificare la funzionalità del nostro genoma attraverso le modificazioni epigenetiche. Di più: gli effetti della violenza sulla psiche si fanno sentire nel tempo, e possono influenzare anche struttura e funzionalità del DNA della donna, compromettendo il suo stato di salute. In particolare, i geni coinvolti dalla violenza sarebbero tre, tutti attivi sul fronte dello sviluppo e della plasticità cerebrale, e tutti trovati “differenzialmente espressi (ipermetilati)”, con la conseguente evidenza che la violenza subita è in grado di condizionare la normale funzionalità del genoma.
In conclusione, “Il coinvolgimento di più PS, centri antiviolenza e case rifugio ci permetterà di valutare nel tempo le modificazioni epigenetiche delle donne, indicandoci possibili target molecolari per una prevenzione di precisione al fine di limitare l’insorgenza degli effetti a lungo termine. Solo un approccio multidisciplinare, multicentrico e multisettoriale, che integri la ricerca scientifica con la rigorosa analisi statistica e con il livello clinico e assistenziale sul territorio, potrà consentire di rafforzare la rete dei servizi territoriali per una presa in carico precoce e di lungo periodo – scrivono i ricercatori dell’ISS - La Sanità pubblica riveste un ruolo centrale nel proporre strategie innovative e d’interconnessione per garantire alla donna che ha subito violenza un’assistenza di lungo periodo, così da contrastare e limitare l’insorgenza di patologie croniche e non trasmissibili che potrebbero avere origine proprio dal trauma subito. Conoscendo sia il profilo di rischio sia quello epigenetico si potranno proporre strategie innovative in grado di intervenire sulla prevenzione degli effetti a lungo termine. I costi della violenza gravano fortemente sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN), e solo attraverso una prevenzione di precisione e un sostegno alla ricerca si potrà combattere questo fenomeno”.

Alessandra Rozzi
Redazione Respiro.News

Usando questo sito si accetta l'utilizzo dei cookie per analisi statistiche e contenuti personalizzati. Privacy policy