Il Covid determina una grande sofferenza a livello polmonare, lo sappiamo. È morto un numero impronunciabile di persone, un numero altrettanto scandaloso lotta con la ripresa da questa malattia feroce. In questo contesto i pazienti affetti da patologie gravi e invalidanti a carico dei polmoni non sono stati presi in considerazione dal piano vaccinale. Non sono stati ritenuti una priorità. Una gestione cinica, che penalizza chi ogni giorno lotta già di suo con problemi di desaturazione, polmoniti interstiziali, ossigenoterapia. Fino all’arrivo dei vaccini prendere il Covid per un malato di fibrosi polmonare idiopatica significava accollarsi la fatalità quasi inevitabile di un esito mortale. Dal vaccino in poi, ogni ricovero in terapia intensiva, ogni morte, ogni accelerazione verso il trapianto bipolmonare di questi malati è un evento che poteva essere evitato. La fibrosi polmonare è una malattia senza cura, ci sono solo due protocolli, uno sperimentale, che ne rallentano il decorso. L’unica strada, per tentare di sfuggire all’irreversibilità della patologia, è il trapianto bipolmonare. La prognosi senza trapianto è di dieci anni di vita.
Io sono tra i casi di Ipf, dal 2017. Conosco le corsie degli ospedali, so che la gestione delle malattie croniche degenerative rappresentano una specie di lavoro per chi ne è affetto. Prescrizione dei farmaci, controlli, gestione delle emergenze: tutti aspetti che coinvolgono la maggiore o minore sensibilità dei medici, delle infermiere, delle farmacie ospedaliere. So che non c’era tempo per rimandare il vaccino per queste fragilità, che andavano inserite tra la prima fascia di priorità, assieme agli anziani, perché la guerra tra ultimi non è mai stata una battaglia sensata. Dopo che il caso dei pazienti fragili ha cominciato a circolare, la Regione Lazio ha diramato un comunicato stampa: avvierà le prenotazioni per i fragili dal 4 di marzo, ma si specifica che ci potranno volere più di 30 giorni per avere l’appuntamento. Siamo troppo avvertiti per non sapere che una prenotazione è una pura formalità. Che si potrebbe finire tranquillamente a maggio per una categoria, i fragili, che ogni giorno rischia il contagio mentre gli indici salgono. Un contagio che non si prospetta come una possibilità grave quanto piuttosto come un evento dall’esito drammatico. Grado di rischio elevatissimo, direbbero i matematici.
Dopo la mia mobilitazione un centro, che non mi segue, mi ha offerto il vaccino (ma non ho ancora avuto una data). Il San Camillo, il mio ospedale di riferimento nel Lazio, continua a non avere notizie su quando potrà cominciare. Il responsabile Alfredo Sebastiani ricorda che sono quattro i centri a Roma, mille circa i pazienti che hanno bisogno urgente della somministrazione del vaccino Pfizer. «Non abbiamo notizie e non sappiamo quando potremo inziare». Il medico di base di vaccini non ne ha. L’Aipo e la Sip, le due associazioni nazionali che riuniscono gli pneumologi ospedalieri, hanno emesso un comunicato. Dicono «i pazienti a più alta priorità nell’area delle patologie respiratorie sono quelli affetti da fibrosi polmonare idiopatica e da altre patologie che necessitano di ossigenoterapia». Tra i parametri rappresentati c’è «il documentato aumentato rischio di mortalità in caso di infezione con Sars-Cov2». È come se, in caso di virus feroce che spezza le ossa, non si tenesse conto, in prima battuta, dei paraplegici, degli zoppi, o dei carcinomi alle ossa.
Per tutte queste ragioni ho ritenuto di mettermi in sciopero della fame, pur non sopportando forme di protesta martirologiche. Perché si tratta di combattere per il diritto all’esistenza. Con me due care amiche fino a quando non avremo una data certa, sprazzi di solidarietà nel cielo tetro di una società che rimuove le fragilità. Di una politica che, con i vaccini iniziati a dicembre, ancora non ha pensato ai malati polmonari mentre una pandemia continua a far morire per mancanza di ossigeno.
Di Giovanna Ferrara
Fonte: https://ilmanifesto.it/noi-malati-di-fibrosi-polmonare-dimenticati/