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“Ho soltanto trentatrè anni ma sono già nata tre volte. Nel 1987, quando sono venuta al mondo con una gravissima malformazione al cuore. Nel 1988, quando al “Bambin Gesù” di Roma ho ricevuto un cuore nuovo con un’operazione durata quaranta ore. E il 27 novembre del 2019, quando sfidando tutti gli ostacoli è nata Valeria, la mia bambina, la mia nuova bellissima vita. A tenermi la mano, in sala parto, c’era il medico che mi segue da quando nessuno scommetteva sulla mia vita, il dottor Francesco Parisi”.

Vorrebbe gridarla forte la sua felicità, Giulia Rossi, una delle prime bambine italiane a cui alla fine degli anni Ottanta fu trapiantato il cuore, dall’équipe del discusso ma geniale cardiochirurgo Carlo Marcelletti, con tecniche allora avanzatissime e sperimentali. Un gruppetto di dodici piccoli pazienti, non tutti sopravvissuti. Ma il record di Giulia, a parte Valeria, a parte una laurea in cinema, a parte la sfida di una vita normale, è la “longevità” del suo cuore. “Sono una delle trapiantate più anziane. Il mio cuore cioè, il cuore che ho ricevuto nel 1988 è sempre lo stesso, non ho dovuto subire nuovi trapianti”.

Giulia, è così incredibile diventare madri avendo subito un trapianto di cuore?
“Sì, lo è. Perché i rischi sono tanti. Ma non sono la prima ad avercela fatta, attenzione. Però voglio raccontare la maternità, per incoraggiare chi subisce un trapianto a non rinunciare ai propri sogni e perché si diffonda la cultura della donazione degli organi.

I dati appena diffusi dal Centro nazionale trapianti dicono che aumentano gli interventi, quattromila vite salvate, ma diminuiscono invece proprio i sì alla donazione degli organi.
“È una questione delicata, ci vuole rispetto di fronte al dolore di una perdita. Ma si dovrebbero fare campagne informative. Invece c’è un gran silenzio”.

Lei sa da dove arriva il suo cuore?
“Mi hanno detto che è il cuore di un  bambino di Milano, morto in un incidente stradale con i suoi genitori. Sarò per sempre grata ai parenti di quella famiglia che allora accettarono l’espianto. Mi piacerebbe un giorno poter portare dei fiori sulla tomba di quel bambino che non è diventato grande”.

Com’era, invece, la sua vita da bambina?
“Grazie ai miei genitori ho avuto un’infanzia quasi normale. Certo, non potevo fare sport, sudare, correre troppo, c’erano i farmaci da prendere ogni giorno. Ma alla fine ero così abituata a quella dimensione che quando andavo in un posto nuovo, mi presentavo dicendo: Sono Giulia, ho avuto un trapianto di cuore”.

Valeria, sua figlia ha appena compiuto tre mesi.
“Marco e io volevamo avere un bambino fin da quando ci siamo incontrati. Ma il 20 giugno del 2014, ricordo bene la data perché avevo appena iniziato il servizio civile, mi sono sentita male. Dopo 26 anni in cui il mio fedelissimo cuore si era comportato bene, ho avuto una crisi di rigetto acuto. Sono stata di nuovo ricoverata al “Bambin Gesù”, seguita dai medici che mi accompagnano fin dai giorni del trapianto”.

In quei giorni ha deciso di diventare mamma?
“Ho pensato che se riuscivo a superare quella crisi avrei potuto realizzare qualunque cosa. Però ho avuto bisogno di un supporto psicologico. Superare la paura di non vivere abbastanza a lungo per vedere il mio bambino, anzi la mia bambina, crescere. Del gruppetto dei primi dodici pazienti operati da Marcelletti, siamo rimasti in pochi, soltanto in tre. Ogni tanto ci sentiamo. Gli altri non ce l’hanno fatta. Ho anche sofferto molto quando nel 2017 è morto Andrea Mongiardo”.

Il ragazzo che viveva con il cuore di Nicholas Green, il bambino ucciso sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria nel 1994.
“Sì, anche lui fu operato da Carlo Marcelletti, diversi anni dopo di me. Ma ci incontravamo spesso ai controlli al “Bambin Gesù”, noi siamo una piccola comunità, seguiti tutti dalla stessa équipe. Avevamo un bellissimo rapporto”.

Nel 2019 resta incinta. Ma aveva avvertito i suoi medici? L’hanno scoraggiata?
“No, assolutamente. Però ero cosciente dei rischi. Il peso della pancia, la pressione alta, il pericolo di gestosi. Ma è andato tutto bene, soltanto qualche problema negli ultimi giorni. Quando me l’hanno messa accanto, dopo il parto cesareo, sono stata infinitamente grata alla vita”.

Il futuro?
“Finita la maternità tornerò al lavoro. Valeria, Marco, la mia famiglia. Sperando, sempre, che il mio cuore si comporti bene”.

Fonte: Repubblica.it

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