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“Gli estrogeni presenti nei contraccettivi sono in grado di far cambiare sesso a pesci e anfibi, mettendoli a rischio estinzione. Nel sub-continente indiano gli avvoltoi si sono quasi estinti a causa del Diclofenac ad uso veterinario. I persici europei hanno perso la paura dei predatori per l’effetto della Fluoxetina, un antidepressivo ampiamente prescritto per disturbi d’ansia e depressione maggiore”. Non sono le parole – allarmanti - di un racconto di fantascienza, ma quelle dell’ultima newsletter dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, che in un articolo ben documentato illustra rischi e certezze cui il pianeta va incontro come “rovescio della medaglia” dell’utilizzo massiccio dei farmaci. Perché “gli effetti dei farmaci vanno ben oltre il nostro corpo – si legge ancora - Assumendo alcuni medicinali, inconsapevolmente, rischiamo di mettere in pericolo la salute di milioni di organismi viventi e, a cascata, di interi ecosistemi”. 
Assumere un farmaco, infatti, presuppone necessariamente che prima o poi l’organismo si disferà dei suoi residui. I quali, bypassando allegramente i depuratori (in genere non ancora predisposti per filtrare questo genere di sostanze) finiscono dritti nelle acque dei fiumi, e di lì in mare.
“I farmaci sono sostanze progettate per essere biologicamente attive anche a basse concentrazioni. E non solo per l’uomo. Come tutte le sostanze chimiche possono avere un impatto ambientale e agire anche sulle specie selvatiche, con gli stessi meccanismi o meno” si spiega nell’articolo. Non a caso uno studio sull’argomento pubblicato nel 2022 ha preso in esame la concentrazione acquatica di 61 principi attivi - tra i quali nicotina, caffeina e paracetamolo – esaminando più di 1.000 località, il corso di 258 fiumi e 104 diversi Paesi, e testando in questo modo l’“impronta farmacologica” di oltre 471 milioni di persone. Ebbene, praticamente ovunque è stata riscontrata la presenza di almeno un principio attivo, con i Paesi poveri in pole position nell’inquinamento da farmaci, anche per l’assenza di strutture depurative adeguate. E non a caso, nel 2023, l’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali ha definito “alto o elevato” il rischio ambientale legato a 90 principi attivi di uso comune praticamente per tutte le classi terapeutiche.
Farmaci e ambiente, relazioni pericolose
In realtà i farmaci entrano nel circolo ambientale anche a monte del loro utilizzo, in fase di produzione, quando gli scarti di lavorazione – pur depurati – vengono generalmente smaltiti per via idrica. Quanto all’uso dei medicinali, esso avviene in ambito ospedaliero, veterinario, e civile. E dato per certo lo “smaltimento” delle sostanze farmacologiche  da parte dell’organismo (umano o animale poco cambia),  troppo spesso le acque reflue non ricevono una depurazione adeguata , con l’aggravante che  l’abbattimento delle sostanze farmacologiche (anche nel caso in cui il depuratore sia tarato sulla loro filtrazione) non è mai totale, e che i fanghi da depuratore – il cui uso agricolo è comunque già di per sé controverso – sono spesso a dir poco tossici, e reimmettono in circolo sostanze nocive.
Quali farmaci fanno più danni?
Tra i farmaci più impattanti a livello ambientale c'è la pillola anticoncezionale. Gli estrogeni presenti nei contraccettivi, infatti, agiscono alterando il sistema endocrino e provocano il cambio di sesso (femminilizzazione) di pesci e anfibi, rendendo difficile, se non impossibile, la loro riproduzione” si legge nel testo del Mario Negri. Tanto che “alcune ricerche fatte a valle dei depuratori – sottolinea il Responsabile del Dipartimento di Ambiente e salute dell’Istituto, Emilio Benfenati – hanno rilevato una prevalenza di pesci di sesso femminile. La pillola non “fa male” ai pesci ma funge da interferente endocrino. Vale lo stesso per anfibi e rettili, anche di grossa taglia, come i coccodrilli”.
E non è tutto. Perché i residui di antidepressivi modificano il comportamento sociale di pesci, anfibi e invertebrati, tanto che “i persici europei, ad esempio, hanno perso la paura dei predatori a causa dell’effetto della Fluoxetina, un antidepressivo ampiamente prescritto per disturbi d’ansia e depressione maggiore”, mentre “altri pesci rimangono permanentemente ansiosi a causa della caffeina”.
Fuor d’acqua, in India  “gli avvoltoi si sono quasi estinti- si legge ancora nell’articolo - a causa del diclofenac ad uso veterinario. Le carcasse degli animali da allevamento sono solitamente lasciate agli avvoltoi, che assumono, così, indirettamente un farmaco molto tossico per loro”, mentre “gli animali trattati con ivermectina, un antiparassitario, lo espellono attraverso le feci, feci di cui si nutrono e dove depongono le uova animali come gli scarabei stercorari, compromettendo anche il loro ruolo ecologico di degradazione dello sterco e riciclo dei nutrienti. Se l’ivermectina raggiunge le acque, inoltre, può creare problemi all’ecosistema acquatico locale, perché è molto tossica per gli invertebrati acquatici”.
Senza contare i tanti problemi causati dagli antibiotici (a uso umano, veterinario o agricolo) – che causano la scomparsa dei batteri sensibili e determinano la proliferazione di quelli resistenti, con ulteriore aggravamento del grave problema dell’antibiotico-resistenza, appunto, considerata una tra le 10 peggiori minacce per la salute globale, tanto da aver causato solo in Europa la morte di 35mila persone, un terzo delle quali in Italia- qualcosa, sul fronte delle contromisure, fortunatamente sui muove.
Le contromisure dell’Europa
A partire dal 2006 l’ Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) richiede, per dare l’ok all’immissione in commercio dei farmaci ad uso umano o veterinario, una valutazione del rischio ambientale Per i farmaci in commercio da prima di quella data, però, i dati sulla tossicità sono scarsissimi. Di suo, la Commissione Europea, nel 2008, ha istituito, una lista di controllo aggiornata a scadenze regolari delle sostanze da sottoporre a monitoraggio, nota come “watch list”, che include anche alcuni farmaci.
Cosa fa l’Istituto Mario Negri
“Di recente, il Dipartimento di Ambiente e Salute dell’Istituto Mario Negri è stato incaricato di sviluppare un database centralizzato che raccoglierà i dati sui farmaci e il loro impatto ambientale, come parte del progetto IMI PREMIER – si legge inoltre nello scritto del Mario Negri - Il database sarà accessibile a tutti i soggetti rilevanti come agenzie regolatorie, industrie farmaceutiche, gestori delle risorse idriche, associazioni ambientaliste e la popolazione in generale. Il progetto PREMIER (Prioritisation and Risk Evaluation of Medicines in the Environment), è iniziato nel 2020 e si compone di una rete internazionale di 28 tra le principali istituzioni a livello mondiale, incluse università, istituti di ricerca, PMI, agenzie regolatorie e industrie farmaceutiche. Questa iniziativa innovativa mira a progettare un sistema di valutazione per ridurre al minimo l'impatto ambientale dei farmaci esistenti e fornire linee guida per lo sviluppo di nuovi farmaci green”.
Il contributo dei singoli…
Quanto al comportamento dei singoli, l’Istituto è prodigo di consigli:
1) Usare i farmaci in modo adeguato, dandosi da fare per condurre una vita sana
2) Prima di acquistare un farmaco, controllare di non averne già una confezione a casa  
3) Smaltire i farmaci scaduti in modo corretto in farmacia, e MAI nell’indifferenziata (a parte naturalmente gli imballaggi) o nel WC.
…e quello delle farmaceutiche
“Il resto spetta alle case farmaceutiche (perché producano farmaci più “verdi”, cioè il meno impattanti possibile e utilizzino confezioni adeguate come numero di dosi e pillole, evitando quindi la giacenza di dosi residue non utilizzate) – mette nero su bianco lo scritto - , ai sanitari (che dovrebbero prescrivere i farmaci considerando anche il loro impatto ambientale, ovviamente a pari efficacia terapeutica), alle autorità (che devono garantire il corretto collettamento dei reflui e il corretto smaltimento dei rifiuti, inclusi i fanghi di depurazione), agli ingegneri e ai gestori degli impianti di trattamento dei reflui e dei rifiuti (che devono essere mantenuti efficienti), agli scienziati (che devono continuare a studiare i potenziali effetti avversi dei farmaci sull’ambiente), e, ovviamente ai regolatori (che devono assicurare normative adeguate alla protezione della salute umana e dell’ambiente)”.
Il tutto senza dimenticare nemmeno per un attimo il modello “one health”, secondo il quale “se una singola cosa, seppur apparentemente insignificante, è compromessa, prima o poi andrà a scapito anche del nostro benessere”.

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