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Un nuovo studio pubblicato dalla rivista Britigh Medical Journal indica che i soggetti che ricevono un maggiore stimolo cognitivo a lavoro potrebbero avere un rischio inferiore di demenza rispetto alle controparti con occupazioni meno stimolanti.

I ricercatori – guidati da Mika Kivimaki dello University College London – hanno esaminato i dati relativi a 107.896 partecipanti a sette studi condotti dal consorzio IPD-Work, che hanno incluso misurazioni al basale della stimolazione cognitiva sul lavoro tramite questionari e cartelle cliniche elettroniche sulla demenza incidente.
Su 1,8 milioni di persone-anno a rischio, i ricercatori hanno individuato 1.143 soggetti con demenza incidente.

Rispetto alle persone con scarsi livelli di stimolazione cognitiva a lavoro, quelle con mansioni cognitivamente molto stimolanti presentavano probabilità significativamente inferiori di sviluppare demenza (hazard ratio 0,77).

L’incidenza grezza di demenza ogni 10.000 persone-anno era di 4,8 casi nelle persone con elevati livelli di stimolazione cognitiva sul lavoro e 7,3 casi in quelle con bassi livelli di stimolazione.
“I nostri dati indicano che la stimolazione cognitiva in età adulta potrebbe posticipare l’insorgenza della demenza”, osserva l’autore principale dello studio, Mika Kivimaki.
Il lavoro ha esaminato anche i dati sulla stimolazione cognitiva e le proteine plasmatiche in un campione casuale di 2.261 partecipanti a uno studio e le proteine e il rischio di demenza in 13.656 partecipanti a due studi.

Lo studio ha rilevato che la stimolazione cognitiva si associava a livelli inferiori di tre proteine plasmatiche che potrebbero inibire l’assonogenesi e la sinaptogenesi e aumentare il rischio di demenza.
“Queste tre proteine influiscono negativamente sul modo in cui le cellule cerebrali formano nuove connessioni, cioè assonogenesi e sinaptogenesi”, prosegue Kivimaki. “A causa dei livelli inferiori di proteine negli individui che sul posto di lavoro vengono stimolati dal punto di vista cognitivo, le caratteristiche strutturali del cervello probabilmente consentono a tali soggetti di affrontare meglio la patologia cerebrale prima che emergano cambiamenti clinici o cognitivi”.

Fonte: The BMJ

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