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Il caldo ci salverà? L’estate probabilmente non basterà a spazzare via il coronavirus, ma c’è ragione di credere che insieme alle misure di isolamento sociale lockdown il caldo aiuterà almeno a frenare i contagi. Studi recenti sostengono che il freddo secco sia il clima “preferito” di Sars-Cov-2, una caratteristica che lo rende simile ai virus respiratori stagionali come quello dell’influenza o del raffreddore. Con l’aumento delle temperature la diffusione del Covid-19 potrebbe quindi rallentare ma non illudiamoci. 

L’ipotesi che Covid-19 sarebbe sparita con il caldo si è diffusa tra la gente senza che prima ci sia stata la conferma da parte della comunità scientifica. Eppure, al contrario delle altre bufale che circolano sul coronavirus, questa non è del tutto infondata. Alcuni virus respiratori, come quello dell’influenza, hanno in effetti un andamento stagionale: l’epidemia ha il picco nei mesi invernali e poi scema. Si comportano in modo simile anche i coronavirus responsabili del raffreddore, che appartengono alla stessa famiglia di Sars-Cov-2 e preferiscono un clima freddo secco.

Caldoumidità raggi Uv sono insomma nemici giurati di parecchi tra i più comuni virus respiratori, perché compromettono la loro integrità stabilità. In presenza di un tasso di umidità elevato, ad esempio, le goccioline di saliva che espelliamo con la tosse o gli starnuti sono più pesanti e cadono a terra in un tempo minore. Anche il nostro muco funziona meglio ed è più appiccicoso, proteggendo le vie respiratorie dall’ingresso dei patogeni. Alcuni studi suggeriscono inoltre che la luce solare, e in particolare la sintesi della vitamina D, aiuterebbero il sistema immunitario a combattere le infezioni. Ma soprattutto, cambia il nostro comportamento: trascorriamo più tempo all’aria aperta e in ambienti ventilati, meno a contatto con le altre persone. Ecco perché in estate, in genere, nasi gocciolanti e tossi persistenti sono solo dei brutti ricordi.

La teoria c’è. Ma non sappiamo se Sars-Cov-2 si comporterà come gli altri virus stagionali oppure no. Alcuni studi lasciano trasparire un cauto ottimismo. In Cina, i ricercatori hanno calcolato per 100 città con più di 40 casi che elevate temperatura e umidità riducono la trasmissione del virus. Uno studio dell’università del Maryland mostra che i paesi con il maggior numero di casi di coronavirus sono quelli a clima temperato con temperature comprese tra 5 e 11 gradi e una bassa umidità relativa. Parliamo, è bene precisarlo, di studi preliminari, pubblicati come molti in questo momento solo come preprint, e quindi non sottoposti al vaglio della comunità scientifica ancora.

Tra i più ottimisti sulla possibilità di una brusca frenata dei contagi da Covid-19 c’è Guido Silvestri, virologo alla Emory University di Atlanta, che ha dichiarato a “Che tempo che fa” che il virus “si prenderà una vacanza d’estate”. Non sarà un addio: rimarrà probabilmente nell’emisfero australe e da noi tornerà il prossimo autunno. A sostegno della sua ipotesi, Silvestri cita il numero di casi in Africa, America centrale, Medio Oriente e sud-est asiatico, più basso di quello registrato nei paesi a clima temperato dell’emisfero boreale. Negli stati più colpiti, Italia, Spagna e USA, esiste inoltre un gradiente di mortalità sull’asse Nord-Sud. Negli USA, l’80% dei morti è concentrato negli stati più a Nord, nonostante vi risieda solo il 40% della popolazione. Anche in Spagna e in Italia i decessi sono concentrati al nord.

Ma, ammette Silvestri, si tratta di indizi, non di prove. E comunque, non tutti gli esperti sono così ottimisti. La virologa Ilaria Capua ha detto chiaramente che “ci sono zero possibilità che il virus scompaia in estate”. E due studi realizzati a Wuhan e in alcune provincie del nord Italia sembrano darle ragione: non esiste una correlazione statisticamente significativa tra la diffusione giornaliera del virus e i parametri meteo-climatici. Il climatologo Massimiliano Fazzini, che ha condotto lo studio, ha dichiarato che sulla base dei dati attuali “non esiste una correlazione statisticamente significativa tra la diffusione giornaliera del virus e i parametri meteo-climatici”.

Fonte: galileonet.it 

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