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Claudia ha 55 anni, è impiegata, vive a Torino, ha due figli ventenni. E un marito affetto da Parkinson, una malattia che in Italia riguarda circa 300.000 pazienti, 87.000 in fase avanzata, e che è il secondo disturbo neurodegenerativo più diffuso al mondo. Claudia è una caregiver. Una delle tante, in genere donne, che si fanno carico dell’assistenza quotidiana di un congiunto, spesso un coniuge o un genitore anziano. Claudia ha raccontato la sua storia a Repubblica. 

In principio fu la firma

“Tutto ha avuto inizio 5 anni fa – racconta – quando notai che la firma di mio marito era cambiata: era piccola e spigolosa, come non l’avevo mai vista. All’inizio lo prendevo in giro, ma dopo un po’ mi insospettii e ne parlai con la dottoressa di famiglia. Lei mi tranquillizzò. Sarà un po’ di stanchezza, disse, ma comunque è meglio sentire un neurologo. Il neurologo non ebbe dubbi: è Parkinson. Ricordo che mio marito subito dopo la visita, appena fummo in strada, mi disse: avrebbe potuto essere un tumore al cervello. Dai Claudia, in fondo è andata bene, andiamo avanti”.

Il marito di Claudia oggi ha 60 anni ed è in una fase precoce della malattia, ancora in grado di poter contare su un discreto livello di autonomia. Ma il Parkinson è una malattia a invalidità cumulativa, peggiora. I numeri lo dimostrano: Il 22% dei pazienti non riesce a mangiare da solo, il 38% a vestirsi, il 36% a lavarsi (censis, 2017). “Le cose cambieranno, lo so, lo sappiamo. Ma nel frattempo - dice Claudia - non mi strappo i capelli, e faccio tutto quello che devo fare per conoscere quanto posso della malattia e rallentare il processo: mio marito assume farmaci e si sottopone regolarmente a sedute di fisioterapia, di logopedia, e altro ancora, e io lo accompagno. Ho la fortuna di avere un datore di lavoro che non mi calcola i ritardi che faccio quando sono impegnata con lui”.

Come un bicchiere d’acqua nel freezer

“Chi ha il Parkinson è come un bicchiere di acqua che metti in freezer – usa una efficace metafora Claudia - Tu lo sai che col tempo l’acqua ghiaccerà, ma se con un cucchiaino vai spesso a mescolare, ghiaccerà più lentamente, e se ci metti pure un pizzico di sale, ancora più lentamente. Questa è una malattia del movimento che si rallenta con il movimento, e con i farmaci: il cucchiaino e il sale. E una malattia che oggi non ha un percorso definito quindi dobbiamo imparare a bussare a tante porte, e per affrontarla e gestirla e trovare le soluzioni giuste dobbiamo acquisire conoscenze. E in questo senso iniziative come l’Academy sono importanti”.

Una scuola per chi si prende cura  

L’Academy a cui Claudia si riferisce è la Neuroscience Caregiver Academy, un progetto nazionale nato dalla collaborazione tra, l’Accademia Limpe-Dismov, la Fondazione Limpe per il Parkinson onlus, l’Associazione nazionale infermieri in Neuroscienze e AbbVie. Non a caso l’iniziativa si chiama Academy perché l’idea, in fondo, è un po’ quella di una scuola, che mette a disposizione di chi la frequenta la possibilità di acquisire diverse competenze utili, e qualche volta essenziali. “L’Academy – spiega Leonardo Lopiano, neurologo e presidente della Fondazione Limpe - da un lato forma i caregiver in modo che affrontino meglio la gestione domiciliare del paziente con patologie neurodegenerative, attraverso corsi tenuti da infermieri e medici, psicologi e nutrizionisti, fisioterapisti, logopedisti e legali, da tutte le figure professionali coinvolte nel Parkinson e nel sostegno a ogni livello dei caregiver. Dall’altro vuole stimolare l’introduzione all’interno dei servizi sanitari di un percorso istituzionale di supporto ai caregiver, che hanno un ruolo che è essenziale e inestimabile e che oggi non è ancora riconosciuto”. Il primo incontro dell’Academy si è tenuto i primi di ottobre a Torino, in presenza. I prossimi previsti a Padova, Napoli, Milano, Catania, saranno per via del Covid in modalità digitale.

Le malattie non fanno ferie

“Prima della diagnosi - riprende a raccontare Claudia – avevamo prenotato una crociera nel Mediterraneo e non ci volemmo rinunciare. Un giorno, stavamo visitando un piccolo paese turco, mio marito si sente male e mi chiede di tornare subito a bordo. E io pensai, è così, e sarà sempre di più così: questa malattia non va ferie”. In effetti no, il Parkinson, le malattie neurodegenerative e le patologie croniche in generale, in vacanza non ci vanno mai. Non a caso, riferisce di avere ripercussioni sulla propria salute il 79% dei caregiver: il 50% non dorme abbastanza, e all’insonnia si aggiungono depressione, ansia, senso di solitudine, stanchezza che si accumula e non passa mai mentre solo il 3,5 % utilizza servizi per la gestione del carico familiare e il il 14% si rivolge a uno psicologo.
“Agli eventi organizzati da associazioni o in ospedale incontro donne come me che si prendono cura di congiunti in stato di malattia più avanzato di quello di mio marito: e mi dicono che non hanno tregua. Non riescono a dormire, ad avere una vita fuori dalla malattia o anche a lavorare. Per me oggi non è così, non so come sarà il futuro. Vedremo - conclude Claudia – io vado avanti”. Girando il cucchiaino nell’acqua e aggiungendo un pizzico di sale.

Fonte: https://www.repubblica.it/salute/2020/10/21/news/parkinson_una_scuola_per_aiutare_i_caregiver_a_gestire_il_malato_nella_vita_di_ogni_giorno-271347186/


 

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