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Il desiderio di maternità era forte, già prima della malattia. E tale è rimasto nel tempo, dopo un «interregno» in cui la sua esistenza ha finito per essere regolata da un tumore al senoElisa Cecchetto, oggi, si definisce una donna «completa». Mentre la vita anelava nuovi obbiettivi, il cancro ha determinato una brusca frenata. Ma non le ha tolto ciò a cui ambiva: diventare mamma. Cinque mesi, Rebecca è seduta al suo fianco quando squilla il telefono per l’intervista. «Tienila d’occhio tu, adesso vengo», dice al marito la donna, avvicinatasi nel 2018 a Fondazione Umberto Veronesi per diventare Pink Ambassador, prima di mettersi a riposo per una giusta causa. Quasi come un contrappasso, la vita aveva deciso che quello fosse il momento giusto per diventare mamma. La corsa, in quel momento, poteva dunque aspettare. Come Rebecca, nella mezz’ora che Elisa trascorre immaginando di avere di fronte tutte le donne chiamate a rimandare l’appuntamento con la maternità per una malattia.

La storia ha inizio nel 2014, quando Elisa aveva quasi 32 anni. Alle spalle una laurea in psicologia sociale e del lavoro e un percorso definito: era (ed è) addetta alla gestione delle risorse umane in un’azienda di Como. Come accade a molte sue coetanee, il periodo in questione era quello dell’investimento sulla famiglia. «Assieme al mio attuale marito, avevamo finito di ristrutturare la casa che era stata di mia nonna ed eravamo andati a convivere da pochi mesi». Due giovani pieni di sogni e prospettive, tra cui il matrimonio e il desiderio di un figlio. «Mi sentivo pronta: nell’arco di un paio d’anni avrei voluto diventare mamma», racconta la donna, che incidentalmente, in autunno, scoprì di avere di fronte l'unico scenario a cui non aveva mai pensato: ammalarsi di cancro da giovane. Un pomeriggio, grazie all’autopalpazione, ci mise un attimo per capire che il suo corpo stesse cambiando. O, più correttamente: era già cambiato. L’ecografia, sette giorni più tardi, confermò infatti i sospetti. Un tumore al seno destro si accingeva a mandare all’aria tutti i programmi. E presto avrebbe dato inizio al lungo iter delle cure: chemioterapiaintervento chirurgicoradioterapia e cure ormonali. Tutto d’un fiato, dalle soglie del Natale e fino a luglio del 2018. 

Nel mezzo, Elisa ha trovato il tempo per sposarsi. «Ne è valsa la pena, anche sul piano terapeutico. Programmare il matrimonio subito dopo la fine della radioterapia mi ha permesso di tornare alla vita. E di capire che ci sarebbero state altre fermate, dopo la malattia». In stand-by invece il desiderio di maternità. «Più che l’intervento, è stato faticoso il periodo delle terapie: gli effetti collaterali, il calo dell’umore, le preoccupazioni per il futuro. Quelle non vanno via, anche se ti dicono che il peggio è ormai alle spalle». Nel caso specifico, però, gli auspici corrispondevano alla realtà. In accordo con l’equipe di oncologi che l’ha seguita fin dall’inizio, nell’estate del 2018 la donna ha interrotto la terapia ormonale, a quasi quattro anni dall’inizio. Gli obbiettivi erano già stati riformulati: «Diventare mamma era tornata la mia priorità». Nulla ostava per i medici, che quattro anni prima avevano suggerito alla donna di congelare i propri ovociti. Un passaggio dovuto, ma non necessario, in questo caso. All’inizio del 2019, infatti, Elisa si è scoperta in dolce attesa. Di fronte a lei, un percorso più che perfetto: la fecondazione naturale, la gravidanza priva di effetti collaterali, il parto naturale avvenuto lo scorso 20 novembre. Intoppi? Nemmeno uno. «Forse la vita ha deciso di ripagarmi per le sofferenze già scontate». Tra le gioie più care, c’è «l’aver potuto allattare al seno Rebecca, anche se soltanto per tre mesi», precisa la Pink Runner

Fonte: Fondazione Veronesi

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