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“Sono molto di più di due oggetti, i miei bastoncini da nordic walking sono i miei motori. Con loro ho raggiunto rifugi e vette a cui non pensavo di poter aspirare. Sono stati una forza supplementare, veri compagni nella mia battaglia contro il cancro”. Il cancro di cui parla Barbara Biasia, 57 anni, un marito, due figli di 19 e 21 anni, è un tumore al seno metastatico, una malattia con cui oggi in Italia convivono 37 mila donne. 
Barbara è nata a Parigi, dove – dice – non tornerebbe più, ma dal 1978 vive in Val d’Aosta, a Planaval Arvier un villaggio a 1535 metri che d’inverno conta sette abitanti. E da lì, al telefono, lei ci racconta la sua storia. 

“Sono sempre stata molto precisa con la prevenzione, ho fatto la mammografia ogni anno a partire dai 40 anni. Tutti mi dicevano ma perché la fai tutti gli anni, non hai casi di tumore al seno in famiglia, non hai un seno problematico. Ma io non li stavo a sentire. E per fortuna”. Per fortuna, perché nel 2009 proprio nel corso di una mammografia di routine a Barbara viene trovato un tumore al seno destro, “che poi risultò essere di quelli cattivi – dice - un G3”. “Tra la diagnosi e l’operazione andai in tilt, temevo per i miei bambini, piangevo. Ma all’ospedale Umberto Parini di Aosta, dove mi sono operata, curata e dove sono tuttora in trattamento, ho incontrato medici e infermieri fantastici, ora sono amici”.  

Dopo l’intervento, una quadrantectomia con asportazione dei linfonodi del cavo ascellare, Barbara affronta 6 cicli di chemioterapia, e perde i capelli. “È stata dura, ricordo ancora l’imbarazzo che provai quando si trattò di andare alla cena delle famiglie di uno dei miei figli… non sapevo cosa fare, se andare o se rimanere a casa per evitare l’imbarazzo. Finché mio marito poco prima di uscire, va in bagno e si rasa i capelli, completamente. Ci sono mariti che nelle stesse condizioni scappano, il mio ha voluto assomigliarmi”. Dopo la chemioterapia, è il turno della radioterapia: 31 applicazioni. “Ad Ivrea, perché all’epoca la radio non si faceva ad Aosta, mi accompagnava un pulmino, o le mie amiche. Una grande risorsa le amiche…”. Conclusi la radio, un giorno come tanti, Barbara si sveglia con il braccio e la mano destra gonfi. “Tanto gonfi – ricorda - Mi impaurisco vado dalla mia fisioterapista Bianca Fornaresio, che mi dice che ho il linfedema, una reazione all’asportazione dei linfonodi ascellari. E quel giorno è cominciata una storia traumatica”. 

L'importanza dell'amicizia
Per 7 anni, dal 2009 al 2016 Barbara è costretta a indossare una calza e un bracciale elastici, tutti i giorni, “Anche le dita fasciavo, uno a uno”, spiega. Il linfedema la costringe a lasciare il lavoro, “aiutavo nelle pulizie nell’albergo di famiglia, mi piaceva lavorare ma ho dovuto smettere. Anche questo significa avere il cancro”. La fascia elastica era marroncina, bruttina, una cosa da malati. "Mi metteva in imbarazzo, tendevo a nasconderla. Finché un giorno Bianca mi dice: basta, se questa fascia si deve vedere, che si veda! E con lei ho deciso di indossare una fasciatura fuxia. Bella evidente davvero. E Bianca che fa?  Si tinge i capelli dello stesso colore. Fuxia anche i capelli! È stata una cosa divertente, una prova di amicizia e condivisione”, racconta Barbara. Dopo qualche tempo cominciano i problemi di vista, le cadute dalle scale
a causa del campo visivo ridotto per via della chemio. "Poi nel 2012 ho dovuto vendere l’automobile a cui tensivo tantissimo. Un paio di anni dopo sempre a causa delle terapie ho avuto problemi all’utero e alle ovaie che ho dovuto asportare”, continua a raccontare Barbara.

Le metastasi e il cammino

Finché una mattina del 2016 si sveglia con il collo gonfio, sente un nodulo al tatto…non aspetta tempo: Barbara va subito all’ospedale ad Aosta, e immediatamente parte l’iter diagnostico: ecografia, ago aspirato, biopsia e Pet. Il responso, metastasi ai linfonodi a al surrene. 
“Piango – ricorda - e commetto l’errore di andare a cercare su internet informazioni sulla mia condizione: uno sbaglio enorme, andare sul web, che nessun malato di cancro dovrebbe commettere. Mi butto giù, l’umore è a terra, ho paura. Poi la mia oncologa mi fa reagire, mi scuote: Barbara devi fare qualcosa mi dice. Devo fare qualcosa, mi dico a quel punto anche io. Torno a casa e chiamo Anna, la mia amica camminatrice”, spiega. Quando la chiama, Anna pensa che le debba chiedere di aiutarla nelle pulizie di casa, che per il linfedema lei non riusciva più a fare per bene. “E invece le propongo di andare a camminare: lei è incredula, ma io determinata: prendo un paio di bastoncini e vado”, ricorda. All’inizio sono stati 100 metri, ma poi i metri sono diventati chilometri, e i boschi sono diventati cime. 
Camminando tutti giorni con suoi bastoncini, anche d’inverno con le ciaspole, le si sgonfiano mano e braccio. Barbara è grata alla montagna, alle camminate, tanto che nel 2018 pubblica un libro ‘Due motori per la vita’, i due motori sono suoi bastoni da nordic walking.  “Ho fatto 25 presentazioni in regione e fuori regione, 2550 copie vendute – racconta con orgoglio - e tutto il ricavato è andato in beneficenza: per permettere alle donne di farsi tatuare le sopracciglia, di usufruire di massaggi in ospedale. Perché tutte dovremmo potere essere belle, anche da malate. E poi con Teresa Cascarano e Michela Greco, due amiche infermiere dell’oncologia dell’ospedale Parini ho aperto un fondo, che come il mio volume si chiama Due motori per la vita, nella Fondazione comunitaria Valdostana. Cerchiamo di organizzare eventi par raccogliere soldi da destinare all’oncologia”.

Ora come stai Barbara? “Sono costantemente sotto chemio: pasticche tutti giorni e due iniezioni al mese. Sono referente regionale dell’associazione Tumore al seno metastatico-Noi ci siamo. Per me è una grande soddisfazione”. Cosa vuoi dire alle altre donne con la tua malattia? “Che camminare mi ha dato forza fisica mentale emotiva. Quando ho cominciato non sapevo nemmeno cosa fosse il nordic walking, poi l’ho saputo e ho perfezionato la tecnica. Grazie ai miei bastoni, i miei due motori, non ho più il linfedema, tengo sotto controllo il peso, che le cure tendono a far salire. E ogni anno mi prefiggo una meta nuova: nel 2018 ho raggiunto il lago di Fod, 2439 metri. E nel 2019 ho raggiunto il Rifugio degli Angeli, in Valgrisench, 2916 metri. Non avrei mai immaginato di arrivare così in alto”.  

Fonte: https://laprovinciapavese.gelocal.it/salute/dossier/oncoline/2020/10/12/news/tumore_al_seno_metastatico_storia_di_barbara_e_dei_suoi_bastoncini-270334052/ 

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