Condividi sui social

“Mi sento male e vorrei morire”; “Sono triste e angosciata: vivere è diventato un peso, un incubo!”; “Mi sento in gabbia: vorrei poter uscire da questa situazione”. Sono frasi pronunciate da alcune persone che soffrono di depressione maggiore e riportate nel libro: “Fuori dal blu” (Effedi Edizioni), presentato in occasione dell’incontro a Palazzo delle Stelline a Milano. Parlare di depressione è possibile e, se si utilizza il linguaggio appropriato, non giudicante, le persone decidono di aprirsi al loro vissuto. E’ quello che è successo attraverso il progetto di Medicina Narrativa “Fuori dal blu”, che ha permesso la raccolta di 96 storie di depressione maggiore, raccontate “a tre voci”: da chi la vive direttamente su di sé, dalle persone a loro più vicine, e dai curanti psichiatri che li accompagnano nel percorso di cura.
Il progetto è stato ideato e curato dall’Area Sanità e Salute della Fondazione ISTUD, con il patrocinio di due società scientifiche, SINPF (Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia)  e SIP (Società Italiana di Psichiatria), quello di Fondazione ONDA (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere), e il contributo non condizionato di Lundbeck Italia. Attraverso il coinvolgimento attivo di 5 centri di psichiatria sul territorio nazionale (Udine, Milano, Roma, Civitanova Marche, Palermo) le persone con Depressione Maggiore sono state invitate a narrarsi nel loro vissuto quotidiano, intimo, familiare e sociale.

«L’obiettivo del progetto è sfidare e riuscire a far parlare le persone di una condizione difficile da far comprendere», spiega la dottoressa Maria Giulia Marini, Direttore Scientifico dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD. «Soffrire di depressione maggiore non significa semplicemente “essere tristi” o “giù di corda” ogni tanto, aspetto naturale dell’essere umano, ma trovarsi in una condizione di persistente e severo abbattimento, alla quale non si riesce a reagire, indipendentemente dalla propria volontà, e che quindi richiede delicatezza e assenza di giudizio. Per questo abbiamo elaborato una traccia narrativa basata su un linguaggio semplice e universale, poche parole che guidassero i racconti attraverso il tempo della malattia, da prima della depressione, all’oggi, fino a vedere, o rivedere, il futuro».

Le 96 narrazioni raccolte rappresentano, quindi, il primo risultato del progetto; ma il punto di forza della ricerca è stato quello di ascoltare e unire più punti di vista sul vissuto di questa condizione, che ha permesso di fare emergere alcuni aspetti importanti: Innanzitutto la solitudine delle persone con depressione, sia nel senso sociale (il 54% di loro vive solo), sia nel senso più intimo di solitudine profonda e non percepita dalle persone intorno. Poi la sofferenza taciuta dei familiari: nel tempo si abituano o si costringono a reprimere le proprie emozioni per mantenere il ruolo di sostegno, fino a rischiare di risentire loro stessi degli effetti della depressione. La difficoltà a narrarsi viene dichiarata dal 42% di loro. Si avverte anche l’impotenza iniziale del professionista di fronte alla sofferenza, ma anche il ruolo chiave delle relazioni di cura, il vero elemento di svolta nell’84% delle storie raccolte. Quando arriva l’aiuto giusto, che è anche l’incontro giusto, inizia il percorso verso la guarigione. Molto importanti le metafore, utilizzate dall’83% delle persone con depressione, ma anche dai familiari e curanti, per trasmettere quello che non si riesce a descrivere: ”il tunnel buio”, “il baratro che trascina con sé”, “la strada vuota”, “la tortura all’arrivo del giorno”, “il muro di sofferenza”, “l’isola in cui rifugiarsi”, “indossare una maschera”; ma anche “la fiammella di luce, cadere e rialzarsi, risvegliarsi, riprendere il cammino”. La depressione inoltre si manifesta con tante facce, in diversi contesti ed età della vita, più rappresentata delle storie di donne (69%), spesso in seguito a un’esperienza di malattia, a problemi lavorativi, alle difficoltà delle relazioni familiari e sentimentali.

«Scrivere cura, aiuta a star meglio, consente di condividere e far emergere emozioni, paure, angosce più difficili da raccontare verbalmente», puntualizza il professor Claudio Mencacci, Co-Presidente della SINPF (Società Italiana di Neuropsicofarmacologia) e Direttore del Dipartimento Salute Mentale-Dipendenze Neuroscienze, dell’Ospedale Sacco di Milano. «Nella maggior parte degli scritti si manifesta un grande coraggio che a volte nemmeno chi scrive pensava di avere. E queste esperienze sono di grande aiuto anche per noi medici, ci aiutano a capire meglio, a fermarci, ad analizzare e condividere la sofferenza di chi ci sta davanti e mette nelle nostre mani con fiducia la propria esistenza. Per fortuna oggi abbiamo a disposizione terapie efficaci, oltre alla parola. Ma purtroppo il 50% di chi soffre di depressione non viene diagnosticato. E si parla di circa 3,5 milioni di persone depresse in Italia, di cui 2 milioni sono donne: 4 soggetti su 5 vivono questa condizione in solitudine, che aggrava il loro malessere».

«Ancor oggi sulla depressione grava lo stigma, perché si associa la malattia alla vergogna», fa notare la dottoressa Francesca Merzagora, presidente di ONDA (Osservatorio nazionale sulla salute della donna). «E’ considerata inoltre una malattia poco importante, a volte trascurata, non certo curata al pari di una patologia oncologica: per questo si tende spesso a non chiedere aiuto, aiuto che invece si potrebbe avere e potrebbe avviare a una soluzione. Il primo passo da compiere è far conoscere la depressione per quello che è, una malattia, da cui si può guarire. Ecco perché parlare di depressione non solo si può, ma si deve, per uscire “Fuori dal blu”». Per informazioni sul progetto: https://www.medicinanarrativa.eu/fuori-dal-blu

Usando questo sito si accetta l'utilizzo dei cookie per analisi statistiche e contenuti personalizzati. Privacy policy