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“Avevo iniziato a fare dei controlli per colpa di un forte dolore alla spalla, che non mi dava tregua, tanto da non riuscire più a tenere le mani sul volante della macchina o a infilarmi come sempre la giacca. Poi qualche giorno dopo, un improvviso gonfiore al collo, che con il passare dei giorni non faceva che peggiorare”. Inizia così Paolo Ferré, presidente di Confcommercio Legnano e socio dell’Unione Sportiva Legnanese, a raccontare il suo incontro con la malattia oncologica, un tumore al polmone in stadio avanzato, avvenuto l’anno scorso a maggio, all’età di 54 anni. Una notizia del tutto inattesa: qualche giorno prima, infatti, Paolo era uscito in bici con i suoi amici, come ormai faceva spesso da 7 anni, percorrendo in sella più di 100 chilometri.
La diagnosi
Eppure già la prima ecografia al collo mostrava dei linfonodi ingrossati e il medico gli spiegò che era a rischio di embolia polmonare. “All’inizio – racconta Paolo - non capivo neanche io la gravità della situazione, tanto che pensai bene di rimandare i controlli di qualche giorno perché avevo preso i biglietti per vedere con mio figlio la finale delle Internazionali di Tennis a Roma. Un appuntamento al quale dovetti rinunciare, perché ero a rischio di vita, mi spiegarono”. Dopo un viavai tra l’ospedale di Legnano e l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, la diagnosi: adenocarcinoma polmonare in stadio avanzato. “Ero talmente incredulo che mi girai, come se il medico stesse parlando a qualcun altro: avevo due masse al polmone di circa 20 mm l’una – continua Paolo -, oltre che delle macchioline alla scapola e al femore. Iniziai subito la chemioterapia, visto che nella mia condizione il tumore era inoperabile, poi al secondo ciclo di trattamento, iniziai anche l’immunoterapia”.
L’importanza del sostegno emotivo
Affrontare questa situazione non è stato facile, racconta Paolo, “né per me né tanto meno per la mia famiglia. Soprattutto per mio figlio: lui è quello che ha reagito peggio alla mia malattia, ed è forse quello che ha sofferto più di tutti. Anche se sono le cure l’aspetto principale nel vincere questa battaglia, l’aiuto e il sostegno emotivo dei familiari, degli amici e dei medici sono stati fondamentali nel percorso terapeutico. Mia moglie non mi ha mai permesso di andare giù di morale, e mia figlia mi ha seguito passo passo in ogni appuntamento clinico, oltre a ricordarmi puntualmente l’orario dei vari medicinali che dovevo prendere”.

Anche i medici che lo hanno seguito, continua Paolo, hanno avuto un ruolo importante nell’affrontare la malattia: “La prima volta che ho incontrato il mio oncologo, gli ho chiesto dandogli del lei se potevo chiamarlo con il suo nome, per accorciare le distanze. In tutta risposta mi ha guardato negli occhi, mi ha abbracciato e mi ha detto ‘diamoci del tu’. Ora, ogni volta che ci incontriamo, di primo acchito ha sempre un gesto di affetto, come un un abbraccio o una pacca sulla spalla, si ride, si scherza e si parla degli argomenti più svariati. Un’umanità che non credevo di trovare nei due ospedali che mi hanno seguito. Ma una cosa a cui il mio oncologo tiene molto e che non smette mai di ricordarmi è che il paziente deve sempre avere un atteggiamento positivo, pensare con ottimismo e cercare in tutti i modi di tornare alla normalità, facendo sport, tornando a lavorare, come se la malattia non esistesse. Mi ricorda sempre che mens sana in corpore sano”.
Porsi un obiettivo
Quando si affronta un percorso oncologico molte cose date per scontate all’improvviso diventano impossibili: “Per mesi non sono potuto salire in sella e i viaggi di lavoro in aereo o in treno che facevo spesso erano diventati impensabili. Ma decisi di comprare lo stesso, come faccio ogni anno, il kit per partecipare alla Maratona delle Dolomiti, pur non sapendo cosa sarebbe accaduto l’anno successivo. E con grande sorpresa, a luglio di quest’anno, sono riuscito a partecipare: un giro più corto del solito, ma comunque impegnativo. È stato un gesto che mi ha aiutato molto: dovevo avere un obiettivo, come mi suggeriva l’oncologo, per cercare di affrontare al meglio la malattia anche a livello psicologico”. E l'obiettivo di Paolo era proprio quello di poter tornare a pedalare e riuscire a partecipare alla Maratona. “A febbraio sono riuscito a tornare in bici e a fare quaranta chilometri, quasi nulla rispetto ai 150-200 chilometri che ero abituato a fare. Ma ero così felice, mi sembrava di aver scalato l’Everest”.
Cercare di tornare alla normalità
Adesso Paolo sta meglio: le cure stanno facendo effetto e la maggior parte del tumore è regredito. Il rischio delle ricadute c’è, e ancora ora a distanza di oltre un anno, va in ospedale ogni ventuno giorni per sottoporsi all’immunoterapia. “Ma sono tornato più o meno alla normalità. Quest’estate con mia moglie abbiamo deciso di farci una vacanza come non facevamo da molto tempo. Scooter e ombrellone in spalla: io e lei soltanto. Non dico che la malattia è un dono, ma certamente mi ha fatto vedere sotto una luce diversa la vita e quello che veramente è importante”.

Paolo è tornato di nuovo in pista, ma ha dovuto ridimensionare le sue prestazioni sportive, perché gli effetti della malattia e delle terapie si fanno ancora sentire: “Non faccio più parte del gruppo ciclistico più impegnativo, ma ne ho creato un altro che ho chiamato con i miei amici ‘Il giro di mezzo’: un appuntamento in sella da 100 chilometri a uscita, meno rigido, dove si affronta la sfida con più leggerezza e che è diventato uno dei gruppi più frequentati”.

Fonte: Repubblica.it

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