Condividi sui social

“La diversità rende il mondo più bello. Non bisogna vergognarsi di ciò che siamo” sono le parole di Ambra Sabatini, 19 anni, di Porto Ercole, Grosseto, dopo aver conquistato l’oro nei 400 metri a Tokyo in occasione delle Paralimpiadi. Nel giugno 2019 Ambra perse una gamba in seguito a un violento incidente sullo scooter guidato dal padre che la stava accompagnando agli allenamenti di atletica. “La vita è troppo bella per essere vissuta con rassegnazione", ha dichiarato Ambra in una intervista.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito al trionfo della squadra italiana alle Paralimpiadi, un evento sportivo fonte di ispirazione e coraggio per il mondo intero. L'Italia conclude la Paralimpiade più vincente di sempre ottenendo il 9° posto nel medagliere generale con 69 medaglie complessive: 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi. La forza e il coraggio di questi atleti, unitamente alla loro capacità di buttare il cuore oltre l’ostacolo, non senza paura, ma senza lasciare che sia questa a vincere, rappresentano un esempio, senza eguali, per il mondo intero. Le storie individuali degli atleti sono tante, variegate e ciascuna foriera di un forte messaggio di speranza. Un’immagine alla quale guardare quando tendiamo a crogiolarci nell’abisso delle nostre sterili lamentele. Ma dove e perché nascono le paralimpiadi? Questa strepitosa iniziativa sportiva ha origine in Inghilterra nel 1948 grazie all’intuizione di un neurochirurgo tedesco, Ludwig Guttman, che allora dirigeva un prestigioso centro per la cura delle lesioni spinali sito a Stoke Mandeville, un paesino poco distante da Londra. Guttman comprese il potenziale terapeutico dell’esercizio fisico nell’ambito della riabilitazione dei sui pazienti, non solo da un punto di vista meramente fisico, ma anche psicologico. Tanti di loro era soldati che durante la seconda guerra mondiale avevano riportato gravi lesioni midollari ed erano pertanto destinati, secondo i parametri dell’epoca, a rimanere esclusi dalla società per il resto della vita e inchiodati a una sedia a rotelle. Guttman rivoluzionò la cura di queste persone introducendo la fisioterapia e, soprattutto, l’esercizio fisico come parte essenziale della riabilitazione. Guttman capì che lo sport avrebbe giocato un ruolo fondamentale anche sul profilo psicologico dei suoi pazienti infondendo loro spirito di fratellanza e autostima. Sentimenti fortemente compromessi in seguito alle esperienze drammatiche che avevano vissuto. Nel 1948, in concomitanza con i Giochi Olimpici che quell’anno si disputano a Londra, Guttmann organizza quelli che verranno chiamati i “Giochi di Stoke Mandeville”, gare sportive dedicate appunto ai reduci di guerra con lesioni midollari. La prima edizione si disputa nel cortile dell’ospedale e i partecipanti sono appena 16, 14 uomini e 2 donne che si sfidano nella disciplina del tiro con l’arco.

L’approccio del neurochirurgo tedesco ha risultati sorprendenti sul piano clinico e psicologico. Le gare si ripetono con cadenza quasi annuale e nel 1952 i “Giochi di Stoke Mandeville” assumono una connotazione internazionale grazie alla partecipazione di una delegazione olandese.

Intanto in Italia e precisamente a Palestrina, a poche decine di chilometri da Roma, Antonio Maglio, neurologo e dirigente Inail, visita un centro che ospita pazienti con lesioni al midollo spinale e così commenta il loro stato di salute: «È una lesione del midollo, questi non cammineranno mai più. Che facciamo, li lasciamo a letto per sempre?».

Maglio non si arrende e, sulla scia dell’esperienza inglese di Guttman, con il quale si confronta e dal quale impara che lo sport può diventare terapia, il 1° giugno 1957, grazie anche al suo ruolo presso l’ Inail, fonda a Ostia il Centro Paraplegici, chiamato “Villa Marina”, con 38 pazienti e 100 posti letto. Questo diventa uno dei centri di eccellenza in Italia per la capacità di recupero fisico e psichico dei pazienti. Insegna ai suoi ragazzi a nuotare, a praticare in carrozzina sport come pallacanestro, tennistavolo, lancio del peso e del giavellotto, tiro con l’arco, scherma. Tre volte a settimana gli atleti si allenano in mare aperto nelle acque di Fiumicino. Maglio visita il centro per la riabilitazione diretto da Guttman e assiste ai Stoke Mandeville Games. Decide così di portare la stessa esperienza in Italia e di farlo in concomitanza dei Giochi Olimpici che, per la prima volta nella storia, si terranno a Roma nel 1960.

E così le prime Paralimpiadi di sempre si tengono a Roma dal 18 al 25 settembre 1960 negli impianti dell’Acqua Acetosa, due settimane dopo la chiusura delle Olimpiadi.

Nella capitale si sfidano 400 atleti provenienti da 21 nazioni. Si affrontano nel biliardo e nella scherma (fioretto e sciabola), nel basket maschile, nel nuoto maschile e femminile (stile libero, rana e dorso), nell’atletica (giavellotto e giavellotto di precisione, lancio del peso e lancio del bastone), nel tennistavolo maschile e femminile (singolo e doppio), nel tiro con l’arco (maschile e femminile), nel tiro al bersaglio con freccette (squadre miste), nel pentathlon (tiro con l’arco, nuoto, giavellotto, lancio del peso e lancio della clava). La delegazione italiana è rappresentata interamente dai pazienti del Centro Paraplegici di Ostia. Gli azzurri conquistano 80 medaglie, più di qualsiasi altra nazione.

Il dott. Maglio ha dedicato tutta la vita ai suoi ragazzi. “Erano i suoi figli” ha dichiarato la moglie Maria Stella Calà.

Non è una favola, è un tassello della nostra storia di cui andare orgogliosi. 

Chiara Finotti
Vicedirettore Rivista Respiro

Usando questo sito si accetta l'utilizzo dei cookie per analisi statistiche e contenuti personalizzati. Privacy policy