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“La speranza sta nei sogni, nell’immaginazione e nel coraggio di coloro che osano trasformare i sogni in realtà”. Sono le parole di Jonas Salk e si trovano scolpite all’ingresso del Salk Institute for Biological Studies a La Jolla, in California, il centro di ricerca che egli volle fondare con il desiderio di dare vita a un istituto dove medici e biologi potessero lavorare insieme. Sono passati da questo istituto studiosi di fama internazionali quali il Premio Nobel per la Medicina Renato Dulbecco e Francis Crick, uno degli scopritori della struttura del DNA. Ma chi era Jonas Salk? Nato a New York nel 1914 da una coppia di emigrati russi di origini ebraiche, nel 1934 si laurea in medicina e decide di dedicare la sua vita allo studio della virologia. Grazie ai suoi studi è stato possibile arrivare al vaccino anti-poliomelite, una malattia infettiva che nel secolo scorso colpiva migliaia di persone, per lo più bambini sotto i cinque anni.

All’inizio degli anni ’50 negli Stati Uniti ogni anno si contarono oltre 20mila vittime di poliomelite.

Nell’estate del 1958 scoppiò in Italia l’ultima grande epidemia di poliomelite che portò alla paralisi 8377 individui. Nel 5-10% dei casi la polio bloccava i muscoli del torace impedendo la respirazione. Per evitare che i piccoli pazienti morissero venivano disposti all’interno di polmoni d’acciaio per il resto della vita.

Per comprendere la devastante portata di questa infezione basta fare qualche ricerca in rete per poi imbattersi in un’immagine il cui potere evocativo supera qualsiasi tentativo di scrupolosa descrizione. Si tratta di una foto in bianco e nero, datata 1960, in cui si vedono due grandi saloni gremiti di un’infinità di polmoni di acciaio da cui sporgono solo piccole teste di bambini. La poliomelite infatti è provocata da un virus, il Poliovirus, che si annida nelle feci, nel catarro e nella saliva. Può colpire il midollo spinale e, se ad essere colpiti sono i muscoli respiratori, può essere mortale o costringere il malato a vivere per il resto della vita in un polmone d’acciaio. Il segno inconfondibile del suo passaggio era la deformazione e la paralisi di braccia e gambe. Molti pazienti non erano infatti più in grado di deambulare e necessitavano di stampelle o di tutori in ferro.

L’intuizione di Salk fu di utilizzare un forma del virus inattivata dalla formaldeide anziché una forma attenuata come si era soliti fare in quel periodo storico. Questa posizione suscitò un acceso dibattito all’interno della comunità scientifica.

Le ricerche di Salk furono sostenute dalla Fondazione nazionale per la paralisi infantile istituita da Franklin Delano Roosvelt che all’età di 39 anni si ammalò di poliomelite e si impegnò durante il suo mandato come Presidente degli Stati Uniti a raccogliere e a erogare, attraverso tale istituzione, finanziamenti destinati a supportare studi clinici che portassero a scoprire una cura o un vaccino contro la polio.

Jonas Salk iniziò le sue sperimentazioni iniettando il vaccino nelle scimmie che, in seguito alla somministrazione, risultavano immuni alla malattia. Fu poi la volta degli uomini e le prime “cavie umane” furono Salk stesso, la sua famiglia e suoi collaboratori. Non si registrarono reazioni avverse. Nel 1954 iniziò una sperimentazione su larga scala che coinvolse quasi due milioni di bambini americani di età compresa fra i 6 e i 9 anni. Furono chiamati i “Pionieri della Polio”. I risultati furono più che incoraggianti: il vaccino risultò sicuro ed efficace nel 90% dei casi. Il 12 aprile 1955 venne dato l’annuncio ufficiale e Salk divenne una delle personalità più influenti al mondo essendo riuscito con la sua scoperta a cambiare il destino dell’umanità. Basti pensare che negli anni sessanta negli Stati Uniti si registravano solo poche centinaia di casi a fronte dei 50000 casi di dieci anni prima. A rendere ancora più importanti le gesta di Salk contribuì il fatto che lo studioso rinunciò al brevetto e lasciò a disposizione di tutti la sua scoperta. Salk non fu l’unico a inventare un vaccino contro la poliomelite. In quegli stessi anni un altro medico Albert Bruce Sabin, introdusse un altro tipo di vaccino che però sfruttava una forma attenuata del virus, a differenza di quello inattivato di Salk e poteva essere assunto per via orale anziché iniettato. Il vaccino Sabin è più facile da somministrare rispetto a quello di Salk però il suo impiego è associato a un più alto rischio di eventi avversi. Per questa ragione, nei Paesi dove la malattia è ormai debellata, si preferisce non correre il rischio di una paralisi iatrogena e si somministra il vaccino inattivo, mentre il vaccino Sabin resta raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità per i Paesi ancora a rischio di epidemie. Sabin, come Salk, rinunciò a brevettare la sua scoperta e i costi del vaccino rimasero contenuti.

In Italia il vaccino Sabin venne adottato nella primavera del 1964, quando ebbe inizio una campagna di vaccinazione di massa su bambini dai 4 mesi ai sei anni. L’effetto fu veramente impressionante, perché già nel secondo semestre dello stesso anno i casi dichiarati di poliomielite in Italia furono 212 contro i 1800 e i 2300 dello stesso periodo degli anni precedenti.

Nel 2002 quando l’Italia fu dichiarata Polio free dall’OMS insieme al resto dell’Europa Occidentale, il vaccino di Sabin venne abbandonato per adottare invece quello di Salk ritenuto meno a rischio di reazioni avverse.

Ho raccontato questa storia perché, a volte, uno sguardo al passato può indurci a guardare con maggiore lucidità e fiducia il presente. La battaglia contro la poliomelite non è stata scevra di insidie e di momenti bui e, soprattutto, ha richiesto molto tempo. Alla fine però i progressi della scienza hanno portato alla sconfitta di un virus insidioso. Proviamo a sperare in un futuro in cui la storia possa ripetersi. Buona lettura!

Chiara Finotti
Vicedirettore della rivista cartacea Respiro 

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